Segreti. Antichi rimedi custoditi nel cuore del Giappone tradizionale. Parole sussurrate all’orecchio dei nipoti da nonni anzianissimi, curvi sotto il peso dei loro anni e del loro sapere. Segreti che non conosceremo mai perché rimarranno per sempre nascosti tra mura domestiche, generazione dopo generazione. Uno però, lo conosciamo. Uno dei più antichi e più efficaci.
Non è un amuleto, né la Pietra filosofale: si tratta di un rimedio efficace per molti, se non per tutti, i malanni del corpo. Una vera Panacea. E’ un segreto che si perde nella notte dei tempi, e che ci parla di un albero dai fiori pallidi e profumati, e dei suoi frutti piccoli e asprigni.
Dicono che il primo seme arrivò in Giappone dalla Cina. Un uccello migratore lo avrebbe trasportato attraverso l’Oceano, stretto nel becco. Un piccolo seme, quello dell’Ume, da cui crebbe un albero bellissimo, dapprima selvatico e poi presente in giardini e frutteti, che diede origine a un frutto speciale.
Un frutto da consumare ogni giorno perché “Una Umeboshi al giorno toglie il medico di torno”: ma, a differenza delle mele, che possiamo cogliere dal ramo e mangiare così come sono, i frutti dell’Ume, per divenire Umeboshi, hanno bisogno della mano dell’uomo. Raccolti ancora verdi a metà Giugno, i frutti vengono messi a bagno nell’acqua, asciugati e poi ricoperti di sale (tanto, ma tanto sale!) e foglie di akashiso. L’akashiso, o laminaria purpurea, è un’erbetta dell’orto simile a un’ortica dal marcato sapore acidulo, ricchissima di tannini rossi che conferiranno ai nostri frutti un colorito vermiglio. Dopo mesi a macerare sotto un peso, a fine stagionatura potranno essere insaporiti con filamenti di Kombu (un’alga ricchissima di Sali minerali) o un po’ di spirito di patate. Filtrando la colatura si otterrà il cosiddetto vino o aceto di Ume, un po’ l’equivalente del nostro agro di mele. La metamorfosi si è compiuta. Disidratata, aromatizzata e “spiritata”, la nostra piccola e verde Ume si è trasformata in rossa Umeboshi, che letteralmente significa: prugna secca sotto sale e sotto spirito.
E’ chiamata prugna ma in realtà è un frutto botanicamente molto più vicino a un’albicocca, anch’essa della famiglia delle Rosacee. Se ne contano più di trecento differenti varietà, ottenute incrociando diversi tipi di sementi in epoca Edo, l’età dell’oro di Tokyo (1603-1867), per ottenere frutti di diverso diametro e punto di maturazione.
A prescindere dal suo diametro originale, la nostra Umeboshi si presenterà come una cosuccia tutta raggrinzita, tinta di rosso dalle foglie di akashiso. Sì, insomma, il suo aspetto non è particolarmente invitante… ma non lasciamoci ingannare. Sarebbe un errore sottovalutare la sua potenza e le sue virtù! Lasciate che ve le enumeri.
Ricca di magnesio, sodio e potassio, è un antiossidante in grado di combattere le infiammazioni ed eliminare le tossine: perfetta dopo una notte brava, per smaltire i fumi dell’alcool, e in generale per disintossicare e rinforzare l’organismo. Potente antibatterico, astringente, efficace digestivo grazie alle componenti alcaline mixate con l’acido citrico…meglio della Citrosodina! Ancora: fenomenale antidoto contro la febbre e la fatica. Ecco svelato il segreto della leggendaria resistenza dei Samurai (la Umeboshi era l’alimento chiave della loro dieta) e della inestinguibile forza dei poderosi lottatori di Sumo!
Gli esperti di Macrobiotica ne decantano unanimi le qualità, basandosi sui principi dello Yin e dello Yang; la Umeboshi sarebbe infatti una perfetta sintesi di elementi Yin (acido – verde – secco) e Yang (sale – tempo – pressione). Una lunga stagionatura è tradizionalmente ritenuta l’elemento chiave di tutto il processo, e c’è perfino un proverbio che recita: “Umeboshi to tomodachi wa furui hodo yoi”, il che tradotto significa, “le Umeboshi e gli amici – più sono vecchi, meglio è”.
Le Umeboshi sono amatissime in Giappone: onnipresenti nelle Bento boxes (i “cestini del pranzo” giapponesi) dove sono piazzate proprio in mezzo al riso, non senza un po’ di patriottismo: il punto rosso al centro del riso richiama sia la forma sia i colori della bandiera nipponica.
Ai bambini viene insegnato ad apprezzarne il sapore ipersalato. Per gli adulti sono il complemento ideale di una cena pesante: un po’ come il nostro limoncello, dove al posto dello zucchero, c’è il sale! Che shock per le nostre papille. Al primo assaggio, il verdetto sarà di amore e odio (ancora una polarità Yin e Yang!) ma i benefici restano indiscutibili. Io le amo profondamente, così come sono, salate più di un cappero di Pantelleria, comune destino di frutti verdi mai maturati al sole.
Prodotte in massa per l’estero, le Umeboshi sono ancora realizzate artigianalmente per il consumo locale: l’antico rimedio sopravvive all’avvento delle tecnologie.
Qualche tempo fa ho ricevuto in dono un cofanetto di vimini, molto piccolo, ma molto speciale. Una volta aperto, conteneva solo tre frutti. Tre splendide Umeboshi provenienti da un albero che, a detta della famiglia cui appartiene, sarebbe stato piantato dall’attendente dell’Imperatore Murakami (946-967d. C.) in persona. Che meraviglia! Si scioglievano letteralmente in bocca. Beh, a proposito di sciogliersi e affini: c'è anche il gelato alle Umeboshi! E non solo: ci sono le caramelle per la gola, le patatine, i panini dolci...
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